"Tutto cominciò con la fucilazione del maresciallo di Sovere e la cattura di tre tedeschi…"
Fonteno. Giovedì mattina, il vento soffia forte e si infila dappertutto, non però nella testa e nel cuore di Daniele Pedretti che sta seduto nella sua cucina e non si scompone: "Sono diventato grande presto e ho imparato a non aver paura… avendo paura".
Daniele, classe 1928, l'11 di marzo, decimo di dodici fratelli: "Ma in pratica l'ultimo, gli altri due che sono seguiti non sono sopravvissuti" a 10 anni era già da solo, a lavorare in una cascina, lui e le bestie: "E avevo paura, 10 anni, io e le bestie e nessun altro, sono cresciuto lì, sono cresciuto così e sa quando ho capito che non avrei più avuto paura? Era sera, ero in cascina, c'era vento forte, sembrava urlare quel vento, la porta era chiusa ma sembrava che qualcuno picchiasse forte contro la porta, io grido 'chi è? chi c'è?' nessuno risponde, mi alzo e apro, vicino alla stalla c'era una catasta di legna e il vento probabilmente l'aveva fatta cadere, sembrava un uomo in piedi, era buio, non ci ho pensato su nemmeno un minuto, ho imbracciato la 'furca' e l'ho piantata dentro la catasta di legna. Lì ho capito che non avrei più avuto paura".
Daniele comincia così la sua storia, lui che tiene in mano una vecchia busta, se la coccola e me la mostra, dentro ci sono i documenti ufficiali che lo riguardano, e che dicono che Daniele è stato il più giovane partigiano bergamasco, aveva 16 anni, di anni ne sono passati tanti, troppi.
Daniele adesso vuole parlare, raccontare quei giorni, quella Battaglia di Fonteno finita sui libri di storia, che lui ha vissuto, ha visto, ha respirato, quella guerra che lo ha visto protagonista in mezzo ai boschi e alle montagne bergamasche: "Non ho mai parlato prima e non ho mai partecipato a nessuna manifestazione di commemorazione o di festa che ricordasse la guerra". Perché? "Perché io sono cattolico e non mi piacciono le manifestazioni. Adesso però sono vecchio e voglio raccontare quegli anni, perché io c'ero".