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Suor Tecla, Suor Ottilia, Suor Rina e la disperazione dei poveri del Bangladesh

Che abisso tra lo sfavillio del lusso di Dubai e la disperazione dei poveri del Bangladesh. Una sola cosa in comune: poca gente che sorride. Gli estremi si toccano.

Da Fonteno al Bangladesh

Un gruppetto di Fonteno, con il Sindaco Alessandro Bigoni, è andato in Bangladesh per accompagnare Suor Rina, la suora che ha operato per lunghi anni all'Ospedale di Lovere ed è stata anche catechista proprio nella parrocchia di Fonteno e che adesso affianca Suor Tecla, la suora originaria di Sovere, famosa per le sue iniziative (di cui si parla anche nell'articolo) in terra di missione.. Quello che pubblichiamo è il reportage del Sindaco di Fonteno su questo viaggio nella terra dei disperati. "

Il Bangladesh

E' strano pensare che in una delle nazioni più povere del mondo, circondati da una torma di miseri mendicanti e senza alcuna certezza sui tempi del viaggio, si possa rimanere incantati da un tramonto così poetico. Strano quasi come il fatto che a formulare la frase sia stato Tiziano, da cui non ti aspetti certo la permeabilità ad un simile spettacolo. Eppure dal ponte del ferry boat che ci trasporta da una riva all'altra del Padma, un gigantesco ramo dei mille fiumi in cui si scioglie il Gange nel gettarsi nel golfo del Bengala, l'impressione è che ci sia comunque qualcosa di bello anche nel Bangladesh. E' il "Bangladesh dorato" del poeta Tagore, che ai nostri occhi si svela in maniera imprevista e fa accantonare per un attimo l'ormai solito riproporsi di miseria e disperazione che stiamo vedendo da parecchie ore. Siamo su quella che Fabio ha battezzato la "Zig Zag Road", oltre 300 chilometri di strada che congiunge la capitale Dhaka a Khulna, terza città del paese dove ci attende il St. Mary Hospital, gestito da Suor Tecla Forchini, una suora di Maria Bambina originaria di Sovere, e dai Padri Saveriani. La strada è veramente impraticabile per i continui sorpassi e rientri al millimetro in cui si avventurano tutti i veicoli, affidandosi solo all'ininterrotto suono del clacson e ad una cieca fiducia nella buona sorte e nell'abilità degli altri conducenti. Sono quasi otto ore che veniamo sballottati all'interno di un pullmino stracarico di cose e persone da cui vediamo una serie continua di foreste, risaie, acquitrini, coltivazioni di juta, negozietti, cani, mucche e capre che si trascinano con stanca indolenza sulla carreggiata. Di solito, una mucca viene superata da un ciclista e questi da un risciò e questo da una moto e questo da un'auto e questa da un camion o da una corriera con il bigliettaio che si sporge per dare un pugno sul tetto dei veicoli o sulla testa dei loro conducenti, tutto mentre sull'altra corsia avviene esattamente la stessa cosa. Gli autisti guardano fissi sulla strada con una freddezza da killer o, suggerisce Tiziano, con l'incoscienza dei disperati che tanto non hanno nulla da perdere. E da perdere in effetti hanno poco. Chi lavora – e non sono tanti – guadagna in media l'equivalente di 10 centesimi all'ora, sprofondato nelle acque delle risaie sino alla vita o della juta sino al collo. Per l'igiene, ci si lava interamente vestiti nei fossi dove qualcuno alleva pesci e gamberi, immergendovi anche lo spazzolino da denti. Chissà se anche qui hanno la pubblicità "consigliato dai migliori dentisti"...

Intanto Tiziano continua ad intonare i suoi inni mariani, retaggio della sua infanzia di chierichetto, con una precisione e sicurezza che lasciano di stucco Suor Rina e la dottoressa Luigina Livelli, veterane del Bangladesh, che sono le vere artefici di questo viaggio. Tiziano, accompagnato da Fabio, dice che canta perché quelli delle Palazzine sono tenuti a fare dottrina a quelli di Xino, cioè a me e al Ghignos. Di fronte all'obiezione che secondo noi canta perché ha la coscienza più sporca e, in caso di schianto, è meglio che si porti avanti, si limita a sogghignare, ma non interrompe "Santa Maria del cammino". Quindi, abbiamo ragione noi. Quando ormai è notte, e a trenta ore dalla partenza da casa, ci fermiamo in una stradina buia di fronte ad un cancello di ferro che si spalanca dopo gli ennesimi colpi di clacson.

La stampella di Suor Tecla

Di fronte a una palazzina ben tenuta, in un bel giardino, troviamo schierati ad attenderci Suor Tecla con tutto il suo staff e un gruppo di bambini che cantano una canzone di benvenuto e ci mettono al collo delle collanine in segno di ospitalità. E' il St Mary Hospital: un ospedale in cui vengono prestate cure ai più poveri, a quelli che non si possono neppure permettere di accedere agli ospedali pubblici in cui medicinali e vitto devono essere acquistati dai malati. Si trova nel centro di Khulna, di fronte all'edificio dell'arcivescovado, e a poche decine di metri da uno slum, una baraccopoli dove, in capanne di fango, lamiere e cellophan, abitano in spazi di tre metri per tre, famiglie di sei, otto, anche dieci persone, che cercano di sopravvivere in condizioni spaventose. L'unico aiuto arriva proprio dalla missione di Khulna che fornisce, oltre alle cure mediche, anche la scuola per i bambini e lavoro per una trentina di persone, tra addetti alla manutenzione, infermiere, cuoche e inservienti. L'Ospedale è, rispetto all'esterno, un vero gioiello, governato con pugno di ferro da Suor Tecla che in questi giorni ha sostituito il suo tradizionale bastone con una moderna stampella in seguito ad un intervento chirurgico a cui è stata sottoposta in Italia nei mesi scorsi. Attaccata a lei conosciamo, tra i vari bambini orfani o figli di famiglie disagiate che vengono ospitati presso l'ospedale, anche Charmin, tre anni, la più piccola, che è la sola a riuscire a tiranneggiare Suor Tecla che, pur sbuffando, non riesce mai a dirle di no.

Insieme a Suor Tecla, un'altra suora bergamasca, Suor Ottilia (al secolo Rita Nava) da Scanzorosciate, da oltre cinquant'anni in Bangladesh che, nonostante l'età, non demorde e si occupa di tutte quelle attività che la vita conventuale comporta. Il St Mary è gestito a più mani perché per sei mesi la direzione è affidata alle Suore di Maria Bambina e per altri sei mesi ai Padri Saveriani che ospitano delle équipes mediche italiane che operano i casi selezionati dalle Suore. Si avvicendano chirurghi maxillo-facciali, ortopedici, cardiologi, ginecologi, oftalmologi, che in turni di un mese ciascuno lavorano, come si dice, dalle stelle alle stelle, intervenendo su casi spesso rifiutati dagli ospedali locali.

"Lazarù, 'ndo set?"

Sono numerosissimi i casi di malformazioni congenite e di tumori anche infantili legati alle condizioni di vita miserrime e alle consanguineità. Tutti i giorni, in un piccolo bungalow nel giardino, viene attrezzata una sala trasfusioni che funziona per i bambini talassemici. A vederli per ore nel loro lettino attendere che si esaurisca la flebo, non sai se dispiacerti oppure gioire perché altrimenti, senza la missione, sarebbero già morti da un pezzo. In Bangladesh non è un problema trovare i donatori: c'è gente che vende il sangue per vivere. La questione è che i pazienti non hanno i soldi per acquistarlo e senza l'aiuto esterno non potrebbero permetterselo.

La struttura ospedaliera è veramente bella: tenuta con estrema cura da Suor Tecla che si occupa anche dei più piccoli dettagli, rampognando in bergamasco stretto i suoi operai, con un occhio da capomastro che vede il millimetro di fuori piombo da venti metri di distanza. Tutto il giorno senti il suo "Lazarù, 'ndo set?" alzarsi ora dalle cucine, ora dagli ambulatori, ora dall'area del giardino destinata ad allevamento delle mucche, degli animali da cortile e delle capre per cui è diventata famosa. Quando una donna partorisce, le regala una capra gravida, così puerpera e neonato potranno avere latte e carne per il primo periodo. Lei dice che, nata in una famiglia contadina, non potrebbe fare a meno di allevare qualcosa. In realtà ci sono tanti che buttano volentieri alle spalle i loro semplici natali, ma lei è di un'altra pasta. Prima del suo avvento, il giardino era pieno di piante ornamentali che lei ha man mano fatto tagliare per far spazio all'orto. Pare che al Vescovo, appassionato di fiori e che abitava di fronte all'Ospedale, che le tirava un po' le orecchie ricordandole che la proprietà era dell'Arcivescovado, abbia risposto senza batter ciglio "Dato che ci viene a trovare così di rado, ho tagliato le piante così possiamo gioire comunque della sua presenza". Come si dice, colpito e affondato...

Valigie di medicinali

Noi alloggiamo all'ultimo piano, dove risiedono i medici italiani durante il periodo operatorio. Stanze semplici, ma molto decorose, tinteggiate di fresco e dotate anche di aria condizionata, una vera manna per questo clima di 38 gradi e 100 % di umidità. Risultato: nella nostra camera, Tiziano ronfa sereno come un leone marino e io mi alzo con la brina sul letto. Consegniamo a Suor Tecla le valigie in cui abbiamo stipato sino all'inverosimile tutti i medicinali e le attrezzature mediche che abbiamo portato dall'Italia. In un momento di debolezza, Suor Rina ci ha con magnanimità autorizzati ad arrivare a 4-5 chili di bagaglio personale su 40 chili complessivi, per cui siamo arrivati con quello che abbiamo indosso, lo spazzolino da denti e il carica cellulare. Ci consoliamo comunque perché abbiamo svolto il principale ruolo per cui – con tatto e delicatezza – ci avevano reclutati, quello degli spalloni e quindi tutto quello che faremo dopo è tutto in aggiunta. Tiziano dice che lui comunque deve ancora assolvere il compito più arduo e cioè quello di sopportarci per dieci giorni: si accomoda quindi davanti ad un fumante piatto di pasta che – sue testuali parole – "non è per la fame, è per la nostalgia". Rientra anche l'ammutinamento di Fabio, designato per acclamazione erede e clone di Tiziano, piegato in due dal viaggio sul pullmino e ristorato dalla cena italiana.

Il pozzo "elettrificato"

Dopo un sonno ristoratore, il giorno successivo cominciamo ad esplorare quello che Ghignos chiama "Fort Apache", il plesso dell'ospedale, recintato da alte mura sormontate da filo spinate e cocci di vetro. Nel giardino è stato realizzato a mano un pozzo profondo oltre trecento metri che consente di avere acqua anche nel periodo siccitoso. La pompa è manuale e quindi nasce l'idea di elettrificarla per poter caricare un serbatoio posto sul tetto dell'edificio e consentire la distribuzione dell'acqua potabile con la rete domestica. Ghignos, elettricista con specializzazione idraulica conseguita in anni di Polonia, organizza il progetto e prepara la lista del materiale necessario. Ho già capito che, come al solito, tocca a me il compito della cerca, che sarebbe anche un lavoro simpatico se non comportasse ore di paziente attesa in qualche sperduto bazar o lunghe trattative per spiegare cosa serve, il tutto condito con simpatiche sequenze di traduzione multipla dal bergamasco all'italiano poi all'inglese e infine in qualche dialetto locale. Di solito, finisce che la parola finale tradotta è quasi uguale a quella bergamasca di partenza, così siamo tutti più felici, compreso il commerciante che si convince che "canèf" sia la denominazione dell'ultimo ritrovato della scienza idraulica italiana.

Questa volta però andiamo tutti insieme e Suor Tecla ci assicura un idoneo mezzo di trasporto: un risciò con una piattaforma di legno dove ci accomodiamo noi quattro oltre a Tomal, un giovane bengalese che conosce l'italiano e che lavora come strumentista in sala operatoria. Il conducente, felicissimo in un primo tempo per l'insperato incarico, sembra sbiancare quando si rende conto della mole di Tiziano che lo apostrofa con un secco: "Dom, dom che sò 'n dieta!".


La "cresima" di Suor Tecla

Riusciamo a trovare quasi tutto quello che ci serve e ci possiamo dedicare anche a un po' di shopping personale per acquistare qualche maglietta di ricambio, vista l'esiguità del nostro guardaroba italiano. Andiamo al Boro Bazar, il grande mercato, che è molto affollato in questi giorni in concomitanza della festa di It, che segna la fine del Ramadan. Qui la popolazione è quasi totalmente musulmana, con una piccola minoranza Hindu e una ancora più piccola presenza cristiana. Non ci sono in questo momento particolari tensioni religiose, ma i cristiani (soprattutto i cattolici) cercano di evitare accuse di proselitismo che possono infiammare gli animi. Ci racconteranno poi di una scena biblica di Suor Tecla che affronta, armata solo del suo fido bastone e di un coraggio leonino, una folla di 150 persone che stava linciando un ragazzo cristiano reo di aver rubato una maglietta durante la preghiera in una moschea. Al grido di "se c'è qualcuno che non ha mai fatto un peccato, lo aiuto io a picchiare questo ragazzo", condito da un paio di schiaffoni assestati al più esagitato, la suora arpiona il malcapitato e lo trascina all'interno delle sicure mura dell'ospedale. E con serenità gli impartisce, invece della possibile estrema unzione, una salvifica "cresima" nel senso montanaro del termine che accontenta l'onore degli accusatori e conserva la pelle all'accusato. Nel bazar tutti ci osservano con un po' di stupore. E' assai difficile che occidentali vengano da queste parti e, soprattutto per i bambini, è probabile sia la prima volta che vedano quattro europei in un colpo solo.

A parte la zona di Chittagong, dove si trovano i cantieri dove vengono smantellate a mano le navi per ricavare materiale per acciaierie e laminatoi, nel Bangladesh sono abbastanza rare le industrie e gli stabilimenti stranieri. Chi negli anni scorsi aveva avviato attività manifatturiere ha trasferito tutto in Cina dove la manodopera è altrettanto a buon mercato, ma sono garantiti trasporti ed energia elettrica, in Bangladesh molto aleatori. Facciamo i nostri acquisti (quattro magliette per l'equivalente di quattro euro) e torniamo alla missione. Il primo impatto della vita bengalese è piuttosto forte e ci tuffiamo nel nostro lavoro.

La fila degli ammalati

Luigina, coadiuvata da Suor Rina, ha cominciato di primo mattino a visitare numerosi pazienti: sarà il leit motiv della vacanza. A mezzanotte, fuori dal cancello comincia a formarsi la fila dei malati e dei loro famigliari, che alla mattina verso le otto passano il primo screening di Suor Tecla che li divide secondo l'urgenza e le necessità. C'è chi trascorre tutta la giornata attendendo il proprio turno, accoccolato sui talloni sotto il riparo di una tettoia, senza che ci sia un segno di intemperanza o di insofferenza: è la storia dei disperati che cercano un barlume di speranza che spesso neppure le brave suore possono fornir loro. Malattie tropo spesso trascurate o non curate per mancanza di mezzi economici che giungono ad uno stadio cronico sono la quasi normalità in questo ospedale di frontiera. Noi continuiamo il nostro lavoro coadiuvati dai volonterosi operai di Suor Tecla: Ghignos alla filiera, io e Fabio a montare canaline e tubi e Tiziano a sovrintendere il lavoro altrui. Si riscatta alla fine, inventando la realizzazione di una scala di ferro che andrà a sostituire quelle di bambù assai precarie utilizzate dai bengalesi. Dai bengalesi e da me, a dodici metri da terra, a tassellare con un trapano in mano, con un gorilla di 130 chili che scuote la scala, dicendo con grazia a Fabio: "L'è franca; e tanto se 'l borla zo, oramai l'è ecc!". Arriva il momento del collaudo. L'impianto funziona e Ghignos può stappare l'ultima lattina di quelle birre, abilmente sottratte dalle riserve speciali dei medici, che ha centellinato in questi giorni. Qui è impossibile trovare alcolici che si possono reperire solo a Dhaka, la capitale, nel duty free dell'aeroporto, come abbiamo appreso quando siamo arrivati a Khulna.

La Messa nel villaggio

Domenica andiamo con Padre Carlos, un simpatico saveriano originario di Gaudalajara, per la celebrazione della messa in un villaggio: è un tuffo nel Bangladesh rurale, quello dove la gente vive di quel poco che riesce ad allevare e a coltivare, se la siccità o le inondazioni lo permettono. La chiesa, che Padre Carlos chiama sala della comunità, è decorata con un bell'affresco che racchiude tanti personaggi accomunati dallo spirito di carità. Da Madre Teresa a Gandhi, da Papa Giovanni Paolo II a Cristo, è un richiamo interreligioso (e interrazziale) che colpisce. Abbiamo anche il tempo di un intermezzo quasi turistico a Shimulia, un centro dove, oltre ad una grande scuola femminile, le suore gestiscono una cooperativa di produzione di prodotti artigianali: splendidi cesti intrecciati che ci accompagneranno in Italia. L'ultima sera a Khulna, Padre Carlos ci riserva la sorpresa del maialino alla messicana, preparato secondo la segreta ricetta di famiglia, che gustiamo con una zuppa di gamberetti, sorpresa della cuoca Sophie.

Il rientro a Dhaka è, come di prassi per le strade locali, assai avventuroso: contiamo sette autobus rovesciati negli argini della strada, a cui i conducenti dei veicoli non fanno neppure caso. Prima di partire veniamo ospitati dai Padri Saveriani e facciamo la conoscenza di altri missionari lombardi tra cui Padre Alfonso Oprandi di Fino del Monte e Padre Riccardo Tobanelli di Muscoline (BS) che si occupa dei tokai, i bambini di strada che sopravvivono raccogliendo materiali di riciclo tra i rifiuti. Questi padri svolgono un lavoro veramente difficile, tra mille difficoltà e in un clima terribile. Ritornando facciamo una breve sosta a Dubai: che abisso tra lo sfavillio del lusso e la disperazione dei poveri del Bangladesh. Una sola cosa in comune: poca gente che sorride. Vuoi vedere che gli estremi si sono incontrati?

Ulteriori informazioni

Crediti

a cura di Alessandro Bigoni

Ultimo aggiornamento
30 novembre 2021