Di fronte a una palazzina ben tenuta, in un bel giardino, troviamo schierati ad attenderci Suor Tecla con tutto il suo staff e un gruppo di bambini che cantano una canzone di benvenuto e ci mettono al collo delle collanine in segno di ospitalità. E' il St Mary Hospital: un ospedale in cui vengono prestate cure ai più poveri, a quelli che non si possono neppure permettere di accedere agli ospedali pubblici in cui medicinali e vitto devono essere acquistati dai malati. Si trova nel centro di Khulna, di fronte all'edificio dell'arcivescovado, e a poche decine di metri da uno slum, una baraccopoli dove, in capanne di fango, lamiere e cellophan, abitano in spazi di tre metri per tre, famiglie di sei, otto, anche dieci persone, che cercano di sopravvivere in condizioni spaventose. L'unico aiuto arriva proprio dalla missione di Khulna che fornisce, oltre alle cure mediche, anche la scuola per i bambini e lavoro per una trentina di persone, tra addetti alla manutenzione, infermiere, cuoche e inservienti. L'Ospedale è, rispetto all'esterno, un vero gioiello, governato con pugno di ferro da Suor Tecla che in questi giorni ha sostituito il suo tradizionale bastone con una moderna stampella in seguito ad un intervento chirurgico a cui è stata sottoposta in Italia nei mesi scorsi. Attaccata a lei conosciamo, tra i vari bambini orfani o figli di famiglie disagiate che vengono ospitati presso l'ospedale, anche Charmin, tre anni, la più piccola, che è la sola a riuscire a tiranneggiare Suor Tecla che, pur sbuffando, non riesce mai a dirle di no.
Insieme a Suor Tecla, un'altra suora bergamasca, Suor Ottilia (al secolo Rita Nava) da Scanzorosciate, da oltre cinquant'anni in Bangladesh che, nonostante l'età, non demorde e si occupa di tutte quelle attività che la vita conventuale comporta. Il St Mary è gestito a più mani perché per sei mesi la direzione è affidata alle Suore di Maria Bambina e per altri sei mesi ai Padri Saveriani che ospitano delle équipes mediche italiane che operano i casi selezionati dalle Suore. Si avvicendano chirurghi maxillo-facciali, ortopedici, cardiologi, ginecologi, oftalmologi, che in turni di un mese ciascuno lavorano, come si dice, dalle stelle alle stelle, intervenendo su casi spesso rifiutati dagli ospedali locali.